Mi dicevano il matto perché prendevo la vita
da giullare, da pazzo, con un'allegria infinita.
D'altra parte è assai meglio, dentro questa tragedia,
ridersi addosso, non piangere,
e voltarla in commedia.
Quando mi hanno chiamato per la guerra, dicevo:
"Be', è naia, soldato!"
e ridevo, ridevo.
Mi han marchiato e tosato, mi hanno dato un
fucile,
rancio immondo, ma io allegro,
ridevo da morire.
Facevo scherzi, mattane, naturalmente ai fanti,
agli osti e alle puttane, ma non risparmiavo i santi.
E un giorno me l'han giocata, mi han ricambiato il favore
e dal fucile mi han tolto
l'intero caricatore.
Mi son trovato il nemico di fronte, e abbiamo sparato,
chiaramente io a vuoto
lui invece mi ha centrato.
Perché quegi occhi stupiti?
Perché mentre cadevo,
per terra, la morte addosso,
io ridevo ridevo?
Ora qui non sto male, ora qui mi consolo,
ma non mi sembra normale
ridere sempre da solo,
ridere sempre da solo.